Recensione “Cose che parlano di noi”

Autore: Daniel Miller

Titolo dell’opera originale: The Comfort of Things (2008)

 

La pandemia ha stravolto il nostro quotidiano, il senso del nostro abitare e con esso il nostro rapporto con le case, le cose e lo spazio circostante. All’alba del terzo lockdown regionale, quando le case sono nuovamente diventate protagoniste attive del nostro abitare, musei di oggetti prima di allora forse ancora mai osservati o vissuti, mi sono cimentata in ricerche di approfondimento sul significato degli oggetti, delle cose che ci circondando, consapevole che avrei potuto anche avere risultati non soddisfacenti.

È così che ho conosciuto Daniel Miller, autore del libro Cose che parlano di noi: un’indagine antropologica curata da due studiosi, l’antropologo Daniel Miller e la sua dottoranda Fiona Parrott, durata diciassette mesi. In questo lasso di tempo sono stati studiati trenta appartamenti affacciati sulla stessa via di South London e intervistate centinaia di persone di diversa estrazione. Il testo è strutturato in dodici capitoli, dodici racconti di vite diverse, scenari domestici di dodici persone diventate il campo di ricerca del libro, ciascuno abilmente trasformato dall’autore in un laboratorio di osservazione nella vita degli abitanti di microcosmi dotati di un ordine proprio e non di semplici case-edifici. I protagonisti di questo testo sono giovani e anziani, donne e uomini, persone sole e persone con famiglie numerosissime, tutti con un’identità sessuale molto marcata e ben rappresentata, alcuni benestanti, altri indigenti; le loro case raccontano storie comuni e storie fuori dall’ordinario, storie di sofferenza e di gioia, storie di abbandono, di dipendenza dalla droga, di rapporti difficili con i genitori o con i figli, di matrimoni equiparati a torture cinesi e di cani amati e accuditi più della propria moglie. A ciascuno di loro sono dedicate poche pagine, ma quanto basta al lettore per cogliere l’essenza che transita costantemente tra la persona e le cose che le appartengono. Attraverso quest’opera Miller cerca di dimostrarci, insieme a Fiona Parrott, come gli uomini si esprimono attraverso le cose che possiedono (oggetti, arredi, dischi, fotografie, giocattoli, soprammobili…) e cosa dicono della loro vita.

Attraverso il vissuto dei protagonisti, dei loro intimi aspetti, a volte piacevoli e altre volte inquietanti, attraverso il legame creato con i loro oggetti, l’autore ci conduce ad una maggiore consapevolezza del tipo di rapporto che noi tutti instauriamo con gli oggetti della nostra vita, i quali, ci piaccia o no, sono ormai parte integrante della costruzione del nostro sé. Capire chi siamo attraverso le cose che ci circondano, che abitano con noi e che noi abbiamo scelto di tenere nella nostra casa.

Il fulcro centrale della sua ricerca è dunque l’analisi di come gli oggetti materiali, attraverso il loro utilizzo, permettano non solo la costruzione delle identità personali, ma anche della memoria e svolgano un ruolo determinante nella costruzione dei legami sociali nel mondo contemporaneo. Gli oggetti sono importanti perché possiedono, mantengono ed esprimono le emozioni a cui essi sono associati. Anche la collocazione che trovano nella nostra casa ha un significato, possiamo comprendere il rapporto con tutto ciò che ci circonda o ci passa tra le mani, perché siamo ciò che buttiamo; essi hanno anche un potere consolatorio.

Miller ci consegna nell’epilogo una brillante spiegazione del perché, superando contesti temporali e dinamiche sociali specifiche, uomini di ogni tempo, luogo e cultura abbiano instaurato e continuino a instaurare rapporti così profondamente radicati nell’esperienza con oggetti inanimati, il cui valore non è definito dal suo valore economico. Con questo libro siamo indotti inoltre a riflettere sul fatto che in un mondo in cui le cose aumentano a dismisura a causa della società del consumo, tendiamo a isolarci dal mondo favorendo materialismo e superficialità, come se le relazioni con le cose andassero necessariamente a discapito delle relazioni con le persone. Ma non è sempre e non è solo così: l’intima relazione soggetto-oggetto deve essere considerata e valutata fuori da un contesto di spreco e di iperconsumo, anzi: forse proprio grazie alla comprensione della profondità di tale relazione possiamo riuscire a dare un valore diverso alle singole cose e uscire dalla spirale del consumo ossessivo e vuoto. Scopriremo così che di norma, più vicini siamo alle cose, più vicini siamo alle persone.

Per tale motivo consiglio vivamente la lettura di questo testo a noi P.O., perché prima di classificare, ordinare, individuare, prima di supportare un cliente nella riorganizzazione di spazi e offrirgli tecnica e strategia è necessario, e fondamentale, conoscere cosa racconta quell’oggetto accumulato e impolverato, perché è ancora lì e/o perché non è altrove. Potremmo farci spiegare o raccontare questo, perché la risposta sarà un naturale percorso verso la conservazione, o la dismessa, ma soprattutto attraverso il racconto del suo legame con quell’oggetto può aiutarlo a fare esperienza anche di sé.

 

 

Ramona Cucci

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