La Disorganizzazione Cronica: dal fisiologico al patologico

Nel 1946 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dà la definizione di salute come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza dello stato di malattia o di infermità”. Questa definizione sposta l’attenzione dalla mancanza di malattia verso una nuova visione di salute intesa come benessere globale della persona che, non solo non è malata, ma sta bene ed è in equilibrio da più punti di vista: fisico, mentale e sociale.

L’organizzazione personale è una competenza trasversale che si trova ed è richiesta in innumerevoli ambiti. La persona si trova a ‘doversi organizzare’ in ambito domestico, sul lavoro, e più in generale in ogni momento della vita. Secondo degli studi americani solo il 10% della popolazione nasce dotato di abilità organizzative (fonte Marla Lee, Clear&Simple), ciò significa che c’è un restante 90% che non ha queste competenze innate. Queste persone difficilmente nella loro vita ricevono insegnamenti per colmare questo divario, e così rischiano di trovarsi più facilmente in difficoltà nel gestire e perseguire progetti, grandi o piccoli, lavorativi e privati, con a volte anche grandi ripercussioni sulla soddisfazione e realizzazione personale.

Il termine “disorganizzazione cronica” non è una diagnosi medica, ma vuole descrivere lo stato di una persona se:

  • questo stato persiste da molti anni,
  • la sua disorganizzazione incide negativamente sulla qualità della sua vita e sulle relazioni sociali,
  • ha provato varie volte a fare da solo ma senza nessun successo,
  • pensa di non poter cambiare la sua condizione nel futuro.

Ci sono alcuni fattori che sono comuni nelle persone cronicamente disorganizzate:

  • accumulano molti più oggetti, documenti, carta di quanto usino o abbiano bisogno
  • hanno difficoltà a separarsi e lasciar andare le cose
  • hanno molti interessi e molti progetti non finiti
  • hanno bisogno di “vedere” per ricordarsi le cose da fare
  • si distraggono facilmente e perdono la concentrazione
  • hanno spesso scarse capacità di gestione del tempo.

Tutti o quasi, in qualche fase della vita hanno la sensazione di accumulare troppe cose e altri possono definirsi dei collezionisti, ma quando l’accumulo interferisce con la vita lavorativa, familiare e sociale della persona si può parlare di manifestazioni di rilievo clinico di per sé sufficienti a tracciare una demarcazione sostanziale.

Una domanda che prima o poi emerge sempre quando si parla di accumulo è come sia determinabile il confine tra normalità e patologia. Qualcuno si chiede “in fondo la disposofobia non è una forma di collezionismo estremo?”.

La disposofobia, o come più correttamente in ambito scientifico tale disturbo andrebbe chiamato, l’Hoarding Disorder (Disturbo da Accumulo in italiano) beneficia ormai di quasi due decenni di ricerca scientifica su ipotesi eziopatogenetiche, caratteristiche distintive e possibilità di trattamento. Questa patologia è stata recentemente introdotta nel nuovo “Manuale diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali” (DSM-V, 2013) (tradotto in italiano nel 2014).

Per i non addetti ai lavori, il termine hoarding ha cominciato ad entrare nel vocabolario comune principalmente per il successo di alcune serie TV, prodotte negli Stati Uniti e ritrasmesse in Italia (come “Accumulatori seriali” e “Sepolti vivi”) che seppur semplificando molto il problema hanno alzato il livello di consapevolezza generale sul tema.

Tuttavia in Italia il fenomeno è ad oggi ancora poco compreso, nonostante le ricerche parlino di una diffusione tra il 3,7 e 6% nella popolazione (Melli et al., 2013).

Le complesse capacità di pianificazione, decisione, categorizzazione che ci permettono di guadagnarci da vivere e di fare fronte ai tanti obblighi che la nostra società impone (arrivare in orario al lavoro, organizzare la giornata, pagare le tasse, le bollette, le assicurazioni, occuparsi della casa, delle riparazioni, della macchina, cucinare, fare il bucato, ecc.) divengono nell’hoarding progressivamente deficitarie determinando spesso uno stato di dissesto finanziario personale prima e familiare poi.

In APOI ci sono professionisti formati e preparati ad affrontare e gestire queste situazioni. Non esitate a contattarci o a scrivere a: irene@apoi.it

Irene Novello

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