La casa e i bisogni psicologici dell’abitare

La casa ci accoglie fisicamente e psicologicamente. Ordina, trasforma e interpreta gli aspetti fisici e simbolici della nostra vita quotidiana. È contemporaneamente uno spazio fisico e uno spazio mentale.

La prima casa, quella archetipica, è rappresentata dal rifugio cercato da Adamo ed Eva una volta lasciato l’Eden… la stessa esperienza che ognuno di noi vive quando lascia il ventre materno. A un livello profondo, allora, possiamo dire che il sogno di una casa o una casa da sogno coincide con il ritorno fantasmatico al paradiso perduto. Per questo, per molte persone, la casa rappresenta il sogno di una vita.

La casa è più grande dello spazio fisico che occupa, come è testimoniato dalle tende delle tribù nomadi, per le quali essa coincide con tutto il territorio di volta in volta scelto per il pascolo. Da questa prospettiva, la casa diventa un concetto per mezzo del quale individui e gruppi sperimentano un particolare significato spaziale, temporale e socio-culturale, che determina e rinforza il senso del sé, della famiglia e della comunità.

L’Abitare si riferisce sempre e contemporaneamente a tre dimensioni dell’esperienza:

  • il bisogno di un rifugio, un’esigenza fondamentale per la sopravvivenza fisica e psichica, posta da Maslow (1954) alla base della sua celebre piramide dei bisogni umani;
  • la domanda di un alloggio, che configura un delicato equilibrio sociale fondato sulla proprietà privata e su accordi con l’Altro;
  • il desiderio di una casa, cioè una ardente costruzione psichica progettata nel nostro spazio mentale.

Le forme dell’abitare hanno subito nel corso dei secoli profonde trasformazioni, e il livello di complessità e segmentazione dello spazio interno di una casa è stato messo in relazione con il livello di complessità socio-politica della cultura di riferimento. Le case attuali, spesso, prediligono una pianta aperta, suggerendo una società con meno restrizioni, nell’aspettativa che ognuno di noi sia multitasking. Una riflessione a riguardo, però, è d’obbligo. Cosa ci hanno insegnato la pandemia e il lockdown sugli ambienti open space?

Ogni cultura definisce aspetti fisici particolari e diversi che rappresentano una casa. Gli aspetti psicologici, invece, sono piuttosto stabili in tutte le culture: senso di sicurezza, percezione di controllo, privacy, attaccamento al luogo e personalizzazione.

Il senso di sicurezza è così importante per noi esseri umani da essere fortemente collegato alla salute. Una casa in grado di fornire sicurezza aumenta il senso di comfort generale e promuove il benessere psico-fisico, con un effetto positivo sui livelli di stress e sulla salute mentale, aiutandoci a evitare condizioni patologiche croniche. Quando, invece, viviamo in case che percepiamo come poco sicure o che sono fonte di stress, aumentano i nostri livelli di ormoni dello stress. Inoltre, il possesso di una casa appare associato alla sicurezza ontologica, uno stato mentale stabile derivato da un senso di continuità riguardo agli eventi della propria vita, che implica una visione positiva di sé, del mondo e del futuro.

Oltre alla funzione primaria di protezione, la casa assume molteplici significati perché è il luogo dove siamo in contatto con le persone più intime, dove si svolgono molte delle nostre attività quotidiane, dove maggiore è l’attività di personalizzazione, e dove sono cristallizzati la maggior parte dei ricordi.

Quando nella nostra casa sentiamo di avere controllo sull’ambiente circostante, soprattutto interno ma anche esterno, significa che possiamo influenzarlo direttamente e questo avrà un impatto positivo sul modo in cui lo percepiamo e reagiamo ad esso, contribuendo a promuovere il senso di sicurezza e l’autonomia personale. Al contrario, quando sentiamo di non avere controllo sperimentiamo emozioni negative e ci sentiamo meno competenti.

Una dimensione fondamentale che garantisce il nostro benessere dentro e fuori casa è la privacy, che può essere definita come il “controllo selettivo di accesso al sé o al proprio gruppo” (Altman, 1975). Nel processo di regolazione delle interazioni sociali, ci sentiamo a nostro agio quando possiamo essere in relazione agli altri perché abbiamo voglia di comunicare, ma possiamo rifugiarci nella nostra isola quando sentiamo la necessità di stare da soli. La privacy – acustica e visiva – è importante anche per rigenerare le riserve di energia mentale, a qualunque età. Già a 2 anni, i bambini hanno bisogno di uno spazio all’interno della casa nel quale possano ritirarsi, ad esempio per iniziare a capire chi sono; a partire dai 3 anni, beneficiano psicologicamente dall’avere una propria camera (o una zona ben delineata di una stanza), che possano sentire come loro, controllare e personalizzare; tra gli 8 e i 12 anni, i bambini desiderano particolarmente avere un proprio spazio, per mostrare agli altri chi sono. E gli adolescenti sono più propensi ad allontanarsi da casa se dispongono di troppa poca privacy. Non dimentichiamoci infine dei più anziani, anche per loro la privacy continua ad essere una questione importante.

Più di ogni altro ambiente, la casa garantisce quel legame particolare, definito attaccamento al luogo, che si sviluppa nel tempo ed evoca sentimenti di benessere e protezione. Esso è costituito da una connessione emozionale con un luogo, da una serie di ricordi e da diverse mappe cognitive – le stesse che quando ci trasferiamo in una casa nuova devono essere aggiornate per evitarci il prima possibile di sbattere contro spigoli inopportuni. L’attaccamento al luogo è riscontrabile in numerose specie animali, ad esempio nei salmoni o negli uccelli migratori, e le persone che sviluppano un forte attaccamento verso la propria abitazione curano maggiormente la proprietà, sono più vigilanti e difensivi, mettono in atto più comportamenti diretti alla salvaguardia dell’ambiente.

Last but not least, la casa parla di noi, mettendo in scena rappresentazioni profonde del Sé, a volte realistiche a volte idealizzate, e sentimenti inconsci o inesprimibili. Nel tempo, la casa diventa il teatro del mondo interno a tal punto che è possibile fare inferenze logiche e coerenti sulla personalità del proprietario basandosi sugli attributi della sua abitazione. Attraverso la personalizzazione – processo che investe anche la scrivania nel luogo di lavoro, l’automobile o una stanza d’albergo occupata solo temporaneamente – la nostra casa ci assomiglia ed esprime chi siamo, comunica con e ci connette agli altri, fornisce calore e sicurezza dal punto di vista fisico e simbolico.

Alla fine di questo breve viaggio nei territori intimi dell’abitare, la tua casa cosa dice di te?

 

 

LEONARDO TIZI

architetto, psicologo ambientale, psicoterapeuta

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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