DISORGANIZZATI CRONICI O NO?

Conoscere la propria disorganizzazione

“Devo andare dal punto A al punto B e devo farlo senza perdermi.”

“Se sto facendo un lavoro, mi distraggo facilmente e spesso lo lascio incompleto per passare ad un’altra attività, per poi distrarmi nuovamente e passare ad un’altra ancora”.

Quando penso alle persone con cui lavoro, uno dei fattori che li accompagna da buona parte della loro vita, secondo il loro racconto, è la distrazione. Il fatto di avere scarsa capacità di attenzione e concentrazione si trasforma per forza di cose in moltissimi cerchi aperti: decine di attività iniziate, spesso anche molto complesse come la riorganizzazione del garage, il cambio stagione o lavori di fai da te e bricolage, vengono lasciate incompiute, con la tendenza poi di passare dall’una all’altra, cercando di portarne a termine qualcuna, ahimè invano.

Così facendo, oltre ad aumentare visivamente, il caos e la confusione aumentano nella mente, generando stress, frustrazione e spesso livelli molto bassi di autostima.

 

Quando la disorganizzazione è cronica

Judith Kolberg, co-fondatrice di quello che oggi conosciamo come Institute for Challenging Disorganization, ha dato per prima la definizione di disorganizzazione cronica: “è presente da un lungo periodo di tempo, incide negativamente sulla qualità della vita, ritorna nonostante i vari tentativi di auto-aiuto”.

È sempre sorprendente vedere la reazione delle persone, nel momento in cui si riconoscono in questa definizione. Quello che emerge è vero e proprio sollievo: è come se dopo anni (spesso sin dall’infanzia) passati a sentirsi inadeguati, meno capaci degli altri a raggiungere gli obiettivi o a portare a termine con soddisfazione gli studi, con lavori svolti (male) non per passione ma per dovere, vi sia finalmente un punto da cui ripartire.

Inoltre, la disorganizzazione cronica può essere presente in alcuni disturbi come l’ADHD, l’ansia, la depressione, il disturbo da accumulo o da stress post traumatico, il trauma cranico e anche altri. Tutto ciò ovviamente amplia e diversifica di molto la maniera in cui le persone sono disorganizzate e quindi le cause, e quindi anche le strategie che si possono mettere in atto per affrontarla. In inglese viene usato il termine conquering che significa letteralmente “conquistare” e sul suo libro Conquering chronic disorganization la Kolberg mette in copertina un personaggio tipo Don Chisciotte.

 

Ripartire

Dare un nome alle cose serve a visualizzarle e a fare un gigantesco primo passo nella consapevolezza, ma c’è un altro beneficio che si ottiene: ci si alleggerisce emotivamente, anche perché si scopre come parlare della propria disorganizzazione, non solo con me ma anche con familiari e amici (prima argomento tabù o fonte di malumori e conflitti), si riesce a dare dei confini e spesso si scopre che si è più capaci di quanto si pensasse.

Come dicevo, infatti, i bassi livelli di autostima a cui queste persone arrivano o sono portate, impedisce loro di riconoscersi anche delle minime capacità organizzative, che hanno e che con poco lavoro insieme sono in grado di ritrovare e rimettere in atto.

Condividere con famigliari e amici le difficoltà, apre anche un mondo di possibilità diverse di fare le cose: si raggiungono compromessi di convivenza, si trovano strategie personalizzate, a volte fuori dai metodi “ortodossi” dell’organizzazione, ma se funzionano, perché limitarsi?

L’organizzazione non è una scienza esatta (diffidate da chi vi dice il contrario ;-)) e ognuno può trovare il suo metodo. L’importante è riconoscere e conoscere la propria disorganizzazione, magari aiutandosi con il test dell’ICD “Soffri di disorganizzazione cronica?”

È un buon punto di partenza.

PS: sul sito dell’Institute for Challenging Disorganization ci sono diverse risorse gratuite tradotte da me in italiano.

 

Irene Novello

www.irenenovello.com

 

Nessun commento

Scrivi il tuo commento

X