5 passi per imparare a dire di no

Come si fa a dire di no senza colpevolizzarsi? Possiamo rifiutare una richiesta rimanendo collaborativi? E se perdessimo un’occasione?

Capita spesso di farsi qualche domanda quando le “sirene” che richiamano la nostra attenzione sono tante e per rispondere di sì a tutte servirebbe molto più tempo di quello che abbiamo a disposizione.

Per il contesto nel quale siamo cresciuti e che ci circonda, dire di no è percepito in modo negativo, come se fosse sintomo di ribellione, malcontento o pigrizia. È buona educazione, invece, dimostrarsi disponibili per gli altri. In realtà quando diciamo di no dovremmo chiarire, prima di tutto a noi stessi e poi al nostro interlocutore, che non si tratta di un rifiuto nei confronti della persona che ci pone la richiesta, ma piuttosto verso la richiesta stessa.

Sappiamo bene che il tempo è una risorsa scarsa e preziosa in tutti gli ambiti della nostra vita; proviamo quindi a concentrarci sui “no” che, per salvaguardare l’efficacia del nostro lavoro, dobbiamo imparare a dire quotidianamente alle varie richieste che riceviamo, fisiche ed elettroniche.

Sia che siamo dei professionisti indipendenti, sia che siamo inquadrati in un contesto aziendale è ugualmente importante saper dire di no.

Proviamo a fare alcuni esempi per entrambe le situazioni senza pretendere di essere esaustivi, ma con l’obiettivo di riflettere sul tema.

 

1.Non rispondere (subito).

Personalmente vedo questo come il passo più difficile, perché tendo a voler togliere dalla scrivania, fisica o virtuale che sia, il maggior numero di “pratiche”. Sapere di avere qualcosa in sospeso, non letto, non finito mi disturba quasi fisicamente: ingombra il cervello con il famoso effetto Zeigarnik.
Invece, di fronte a qualsiasi nuova istanza inaspettata, che richieda l’uso del nostro tempo, dovremmo fermarci, sforzarci di non rispondere immediatamente e analizzare la richiesta.

Dobbiamo, quindi, provare a rispondere non sull’onda della pressione del momento, sia che diciamo di sì, sia che argomentiamo un “no”.

 

  1. Riflettere (e sbollire).

A volte la richiesta ci fa arrabbiare: “la scrivania su cui cade tutto è sempre la nostra” pensiamo “siamo costantemente disponibili e guarda il risultato”. Magari non rispondere subito e darci il tempo di sbollire e dire tra sé e sé tutte queste recriminazioni, ci aiuta a non dirle di fronte a colleghi e superiori ed evitare di avvelenare l’ambiente. Capire da dove viene la richiesta e quale motivazione spinge chi ce l’ha posta ci aiuta a incasellarla e a inserirla o meno nella lista delle cose da fare.

D’altro canto, se abbiamo davanti la nostra to-do-list e siamo pronti per iniziare a scrivere quella proposta di collaborazione, quel post per il blog, quel preventivo per un potenziale cliente e la mail che arriva è una sollecitazione che ci piace molto di più, dicendo di sì (e quindi decidendo di aprire la mail e fare quello che ci indica) finiamo per procrastinare altre cose meno stimolanti che sono però più importanti.

 

  1. Empatizzare (ma con fermezza del linguaggio).

Ma se non rispondo subito, l’interlocutore ci può rimanere male! (Sia che parliamo di una e-mail sia che ci riferiamo a una persona che ci parla).

Non necessariamente. Soprattutto se nel dire che ci prendiamo tempo per riflettere dimostriamo di dare importanza alla sua richiesta. Ad esempio: “grazie di avermelo chiesto e di aver pensato a me, mi permetti di rifletterci un attimo? Vorrei poterti rispondere in modo corretto e ora non sono in grado, se sei d’accordo ti darò riscontro entro dopodomani?”. E negoziamo i tempi della risposta, non la risposta.

Secondo la netiquette non è necessario rispondere a una e-mail nei 15 secondi seguenti l’arrivo, se fosse così urgente probabilmente l’interlocutore ci avrebbe chiamato. E quando rispondiamo, anche nel caso della posta elettronica, possiamo rispondere, come detto per un discorso diretto, negoziando sui tempi.

 

  1. Argomentare e proporre un’alternativa.

Esserci fermati a riflettere ci rende capaci di argomentare la nostra risposta.

Sia che la richiesta venga da una persona che nell’organigramma sta più in alto, sia che venga da un collega, l’obiettivo comune che abbiamo è sempre la buona riuscita del progetto perché siamo parte di un’unica famiglia aziendale.

Può darsi che la risposta invece di essere solo un “no”, sia la proposta di un’alternativa, di una collaborazione, di un parziale sì condizionato.

Se siamo professionisti abbiamo potuto calibrare le energie a disposizione, nostre e dei nostri collaboratori, e possiamo rispondere con maggiore lucidità. Accettare una richiesta in più per poi scontentare i clienti non è certo ciò che vogliamo.

 

  1. Non cedere

Una volta che abbiamo riflettuto e preso una decisione e l’abbiamo ampiamente argomentata in modo empatico, non si torna indietro. Soprattutto se l’unica persona a cui dobbiamo dire di no siamo noi stessi e la lotta è tra quello che ci piace fare e quello che dobbiamo fare.

 

Sara Mantovani

Saramantovani.it

 

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